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Del Vecchio: "Con Mourinho, torniamo a sognare venti anni dopo"

Venerdì 18 giugno 2021
Venti anni dopo, e siamo ancora qua. «Un po' più vecchi, ma sempre giovani». Marco Delvecchio di anni ne ha 48, è milanese, ma romano, ora si gode la vita a Dubai. Fa avanti e indietro con la Capitale, che gli è rimasta nel cuore, anche grazie a quel 17 giugno di venti anni fa.

Dov'era quel giorno?
«Al posto giusto nel momento giusto».

Gli è passato vicino un attimo eterno.
«Roma-Parma, stadio stracolmo. Scudetto. Una corsa verso la gioia».

Che ricorda di quel caldo pomeriggio dell'Olimpico.
«C'era un clima surreale. E anche un po' il timore di non farcele, che il sogno svanisse. Nessuno di noi dimenticherà».

Eravate forti.
«Erano gli anni delle sette sorelle, mica facile vincere».

Quando lo avete capito?
«Beh, già l'estate, nel momento del raduno, quando ci guardavamo in faccia. Vedevo Batistuta, Totti, Emerson, Montella, allora sì, si poteva fare. C'erano calciatori di grande personalità, uomini veri. Juve-Roma è stata la foto di questo aspetto: sotto di due gol nella partita chiave, ed ecco la rimonta che non ti aspetti».

Quella notte a Torino arriva, in pratica, lo scudetto.
«Dopo il pari, era fatta».

E' stata la vittoria del gruppo?
«Io al gruppo unito ho sempre creduto poco, noi non lo eravamo. Ma abbiamo vinto perché al momento opportuno, in campo, sapevamo essere squadra. Eravamo un mix di diversità ma ognuno di noi aveva la determinazione di voler vincere».

Lei si è anche saputo sacrificare in un ruolo poco appariscente ma determinante.
«Sì, Capello mi chiedeva di coprire e ripartire. All'inizio un po' di difficoltà per me che era un attaccante, poi mi sono trovato bene. Diciamo che il mio contributo non è mancato».

Qualche gol decisivo lo ha anche segnato: bella l'immagine di quello di Bergamo.
«Sì, poi ci sono stati quelli alla Lazio. Ci siamo divertiti».

Batistuta, determinante?
«I suoi gol ci hanno dato la spinta emotiva e i punti decisivi. Poi, non dimentico gli altri: da Tommasi a Candela, poi Montella, Totti e come si fa a dimenticare i vari Mangone, Zanetti. Insomma, tutti».

E Capello?
«Il suo compito è stato delicatissimo, c'era voglia di riemergere. E' riuscito a far convivere tante personalità, pur gestendo qualche screzio. Ognuno di noi è riuscito a dare il meglio grazie a lui. Tecnico vincente, mentalità vincente: squadra vincente».

Vent'anni e in mezzo pochi successi.
«E' un peccato, Roma merita di stare in alto, per la città che è, per la passione dei tifosi. Qui vinci e resti immortale, ma c'è bisogno di altro. Speriamo che Mourinho non ci lasci soli, e che faccia in modo che un'altra squadra raggiunga la soddisfazione che abbiamo vissuto noi».

Che ricordi ha della festa?
«Le feste. Un continuo, ogni giorno, ogni sera. La città si è colorata, ogni angolo, ogni finestra. Poi, la notte al Circo Massimo, io e Batistuta mascherati in mezzo alla gente. Che bei ricordi». Infiniti.
di Alessandro Angeloni
Fonte: Il Messaggero
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